L'appia antica e i colli albani
La morfologia originata dal sistema vulcanico laziale dei Colli Albani è l’elemento unificante del ricco mosaico ambientale che caratterizza il sistema paesaggistico e territoriale compreso tra la città di Roma (antica) e i Colli Albani. Non solo ampi spazi coltivati (soprattutto a vite e orticolo) e grandi prati adibiti a pascolo estensivo, ma anche spallette boscate, fossi e marrane con presenza di vegetazione ripariale, alcune aree umide, innumerevoli aree archeologiche e siti ipogei, custodiscono nel loro insieme i valori storico-archeologici, naturalistici e paesaggistici di un tratto della campagna romana tra i più iconici e meglio conservati.
Elementi del paesaggio
Elementi del paesaggio
Geologia
Durante la fase di attività del vulcano laziale dei Colli Albani, che coincide oggi con l’area dei Castelli romani e dei suoi laghi, una enorme quantità di materiale piroclastico eruttato (lapilli, ceneri) si è costituito come substrato tufaceo del settore Est dell’attuale città di Roma. Le colate laviche furono poche, ma una di queste, incanalandosi in un’antica valle, raggiunse il punto in cui si trova il complesso di Cecilia Metella, lungo la via Appia antica. Rispetto al suo intorno, caratterizzato da colline dolci e poste ad una quota inferiore, la colata basaltica di Capo di Bove si distingue da sempre per la sua durezza, la superficie irregolare e un colore particolarmente scuro. A partire dal 312 a.C. sulla sua sommità i romani edificarono la Via Appia antica, strada consolare di primaria importanza che collegava Roma prima alla città di Capua e poi a Brindisi, dove si trovava uno dei porti più importanti dell’antichità. La strada sfruttava quindi non solo la resistenza della roccia lavica ma anche la posizione rialzata. Sulla stessa colata, i romani realizzarono anche le cave di estrazione del materiale da costruzione: la falesia di Fioranello, nei pressi dell’aeroporto di Ciampino, è un esempio di ex-cava di leucitite.
La natura geologica del territorio è leggibile anche nelle pozzolane rosse e nei tufi della Valle della Caffarella – solcata dall’Almone un fosso ritenuto sacro in età romana, il cui etimo Almo richiama al culto della vita e della fertilità -, nel conglomerato giallo delle cave di Tor Marancia, e nella morfologia del Parco degli Acquedotti. Quest’ultima è infatti il risultato della stratificazione delle colate di fango fuoriuscite dal cratere in cui oggi si trova il Lago di Albano. La stessa forma dei pianori solcati da valli più o meno profonde, tipica della campagna romana, testimonia ancora oggi le origini vulcaniche del territorio, nonostante attraverso scavi, trasporti e riporti di materiali e opere di regimentazione delle acque, sia stata in parte modificata nel corso dei secoli dall’intervento umano.
Anche i laghi di Albano e di Nemi altro sono il risultato del riempimento dei crateri del complesso vulcanico dei Colli Albani. I due laghi sono alimentati da falde acquifere o sorgenti sotterranee e non hanno immissari. Hanno invece degli emissari costruiti dall’uomo, in epoca romana, per evitare che il livello dell’acqua superasse, in caso di piogge abbondanti, il bordo del cratere lacustre rischiando di “tracimare” ed inondare il territorio esterno. In effetti ciò avvenne nel 390 a.C. quando il lago Albano superò il lato del cratere a nord verso Roma provocandone il crollo e inondando la campagna, procurando enormi danni.
Elementi del paesaggio
Un museo all’aperto
Tra Roma e i Colli Albani sono state istituite tre importanti aree naturali protette e parchi: il Parco Archeologico dell’Appia Antica, il Parco Regionale dell’Appia Antica e il Parco Regionale dei Castelli Romani.
La vocazione di museo a cielo aperto di questo territorio nasce da lontano. Tra il 1851 e il 1855 Luigi Canina, architetto e archeologo, realizzò il progetto per la sistemazione della via Appia Antica come passeggiata archeologica. L’attuazione del progetto impose l’esproprio dell’area di sedime della via Appia antica, oltre a consistenti lavori di pulizia e restauro dei monumenti presenti ai lati della strada. La configurazione di questo maestoso “museo all’aperto” – ancora oggi perfettamente leggibile per le prime XI miglia della strada – aveva come scopo la messa in scena e la conservazione in situ dei reperti archeologici e dei monumenti scavati e indagati. Ancora oggi, oltre al doppio filare di pini, lungo i lati della strada si alterno ai monumenti antichi – per lo più monumenti funerari come sepolcri, tombe e colombari – alcune maestose quinte architettoniche realizzate in laterizio. Si tratta di dispositivi architettonici concepiti come vere e proprie vetrine di esposizione dei frammenti di marmo rinvenuti nei pressi dei maestosi sepolcri antichi.
In epoca più recente, la difesa del territorio dell’Appia deve moltissimo ad altri rilevanti personaggi del panorama culturale romano del secondo dopoguerra. Quella per la Regina viarum fu per Antonio Cederna – archeologo, giornalista, urbanista, attivista, parlamentare e amministratore pubblico – la battaglia di una vita, testimoniata dalla produzione di oltre 140 articoli in 40 anni. Nel suo celebre articolo “I gangster dell’Appia”, pubblicato su “Il Mondo” l’8 settembre 1953, Antonio Cederna scriveva: “Per tutta la sua lunghezza, per un chilometro e più da una parte e dall’altra la via Appia era un monumento unico da salvare religiosamente intatto, per la sua storia e le sue leggende, per le sue rovine e per i suoi alberi, per la campagna e per il paesaggio, per la vista, la solitudine, il silenzio, per la sua luce, le sue albe e i suoi tramonti….Andava salvata religiosamente perché da secoli gli uomini di talento di tutto il mondo l’avevano amata, descritta, dipinta, cantata, trasformandola in realtà fantastica, in momento dello spirito, creando un’opera d’arte di un’opera d’arte: la Via Appia era intoccabile, come l’Acropoli di Atene”.
Nell’ambito di questa battaglia, la prima grande vittoria arrivò nel 1965 con la destinazione di 2.500 ettari del territorio circostante l’Appia a parco pubblico attraverso il decreto di approvazione del PRG di Roma. Nei decenni successivi Cederna, insieme alla preziosa collaborazione di Vittoria Calzolari – architetto paesaggista impegnata, amministratrice e attivista -, continuò ad affermare tenacemente il rispetto di quei principi attraverso le denunce degli abusi perpetrati dai proprietari di ville e terreni sull’Appia. Nel 1993 fu nominato primo presidente del Parco regionale, istituito nel 1988.
Elementi del paesaggio
Biodiversità vegetale sulle pendici dei Castelli romani
Salendo lungo le pendici dell’apparato vulcanico dei Colli Albani, il mosaico agro-ambientale della campagna romana cede il passo a un paesaggio decisamente più boscoso. la biodiversità di questo territorio è l’esito di un lungo processo di complessiva sostituzione della vegetazione naturale con specie coltivate: lungo le prime pendici collinari, le originali leccete e i boschi di roverella sono stati sostituiti, fino a dove è stato possibile, dai vigneti ed oliveti; alle altitudini superiori, il bosco misto di latifoglie decidue e la faggeta sono stati convertiti in castagneti cedui produttivi. In questo quadro, è però ancora possibile trovare nuclei forestali originari che occupano le zone più impervie e di difficile accesso delle pendici montuose. Sono questi i casi del bosco del Cerquone sul Monte Cavo, ancora a prevalenza di farnia e cerro; delle faggete dei monti dell’Artemisio; delle leccete lungo i versanti dei laghi Albano e di Nemi. Anche presso il Lago di Giulianello, nell’omonimo parco a metà strada fra i Colli Albani e le alture calcaree dei Monti Lepini, sono presenti interessanti formazioni erbacee igrofile ripariali, frammenti di boschi di pioppo e salice bianco.