LA SABINA TIBERINA E LA CONCA REATINA
Due quote, due mondi: dall’altopiano reatino alla piana del Tevere
Compreso tra la Valle del Tevere e l’Appennino centrale, il vasto sistema paesaggistico a nord-est del Lazio è caratterizzato dalla contrapposizione e una consolidata dialettica tra alto e basso, tra cime, altipiani e pianure.
In questo territorio, in cui ricadono la Sabina Romana e l’Alta Sabina considerata nella sua porzione ricadente nella provincia di Rieti, l’elemento di raccordo tra quote e paesaggi tanto diversi – di cui alcuni ancora oggi caratterizzati da forti dinamismi ambientali e atri più statici ma originati dall’intervento dell’uomo sull’ambiente originario -, è ancora una volta l’acqua, straordinario dispositivo di scoperta e conoscenza.
Elementi del paesaggio
Elementi del paesaggio
La Conca reatina, la Valle santa
Anche nota come Piana reatina, è questo il centro geografico della Sabina. Si tratta di una pianura alluvionale incorniciata da montagne (monti Reatini e Sabini) e originata dalla bonifica del cosiddetto Lago Velino, vero e proprio impaludamento dovuto al passaggio dell’omonimo Fiume che ancora oggi, stretto dentro argini più sicuri, attraversa l’altipiano. La storia di questa bonifica comincia nel 271 a.C. quando il console Manio Curio Dentato realizzò il Cavo Curiano, un canale tagliato sulla costa rocciosa della montagna attraverso cui far defluire le acque stagnanti in direzione del salto naturale di Marmore, appena prima della confluenza con il fiume Nera. Da allora, le vicende della bonifica hanno scandito la storia di questo territorio fino ai primi anni del XX secolo quando, con la costruzione delle dighe da cui hanno preso forma e vita i laghi-serbatoio del Salto e del Turano, venne arrestato una volta per tutte il fenomeno delle “pianare”, i periodici allagamenti della conca reatina dovuti all’enorme massa d’acqua raccolta dal Velino durante il suo corso. I laghi di Lungo e Ripasottile sono ciò che resta oggi della palude originaria rispetto alla quale gli attuali colli di Montecchio, Terria, San Pastore e Montisola erano isole. Secondo quanto riferito da Tommaso da Celano, anche San Francesco si spostò attraverso la conca usando una barca; a Rieti, ancora oggi, si ha testimonianza di mestieri legati anche nel passato recente alla natura lacustre dell’area, come quello del barcaiolo, dell’allevatore di gamberi e del coltivatore di canapa.
In ragione del legame con San Francesco, la Piana reatina è anche chiamata Valle santa. La via di San Francesco, il cammino per raggiungere Assisi ripercorrendo i passi del santo che sia partendo da Nord (Firenze – La Verna – Rimini) o da Sud (Roma), abbraccia la conca collegando tra loro santuari e luoghi sacri legati alla vita del Santo. Sono i casi, per esempio, del santuario di Greccio. Incastonato nella roccia, nel suo nucleo originario si trova la Cappella del Presepio. È qui che San Francesco, nella notte di Natale del 1223, avrebbe rappresentato per la prima volta la nascita di Gesù dando vita alla tradizione del presepio; o del Santuario di Fontecolombo, dove il Santo venne sottoposto alla cauterizzazione degli occhi e poi, tre anni prima della sua morte, mise mano alla redazione della Regola dei Frati Minori. Sempre lungo il cammino si trova un piccolo santuario, di fianco a un faggio secolare di recente noto come Capanno di San Francesco e dichiarato di recente Monumento Naturale. Si narra che in questo luogo, durante una passeggiata nei boschi, Francesco fu sorpreso da un forte temporale e che l’albero abbia esteso i suoi rami per proteggerlo fino a costruirgli intorno una sorta di capanna.
Elementi del paesaggio
I valichi e le acque della piana
Tra la piana di Rieti e la Valle del Tevere si trovano solo pochi varchi, da sempre punti e passaggi strategici di difesa e controllo delle vie di comunicazione attorno ai quali sono stati costruiti paesaggi di grande fascino e suggestione. È il caso delle fortezze gemelle di Rocchette e Rocchettine, nel comune di Torri in Sabina. Edificate nel XIII secolo, sebbene le due rocche sorgano una di fronte l’altra come punti complementari di presidio, queste hanno avuto destini molto diversi: mentre Rocchette ancora oggi è un centro attivo e vitale, Rocchettine è ormai un borgo fantasma, completamente disabitato da molto tempo. Un secondo valico è quello del monte Valcia. Qui si trova la Grotta di San Michele, il cui nome rievoca la chiamata dell’Arcangelo da parte di Papa Silvestro per proteggere le popolazioni locali da un demone probabilmente celato sotto le spoglie di un drago. Vero e proprio santuario simbolo della cristianizzazione, la grotta, a cui ancora oggi si accede per una scalinata scolpita nella roccia e dominata da un altare decorato con una piccola volta affrescata in cui ricorrono simbologie medievali, fu oggetto di contesa tra il Vescovo di Sabina Giovanni e l’Abate di Farfa Berardo I.
In Sabina, a valle come sui monti, molti paesaggi sono dominati dalle forme dell’acqua. In questo tratto della Valle del Tevere si trova la prima area naturale protetta istituita dalla Regione Lazio (1979). Si tratta della Riserva Naturale di Nazzano Tevere-Farfa la cui storia ambientale è segnata – come spesso accade in questo territorio – dalla realizzazione di uno sbarramento per la produzione di energia elettrica, questa volta lungo il corso del Tevere. Poco più a valle della confluenza con il Farfa, la costruzione di una diga (1953-1955) causò l’innalzamento del livello dell’acqua con la conseguente inondazione dei terreni circostanti e la formazione del Nazzano, un bacino artificiale. Nel tempo, gli accumuli di detriti trasportati dai fiumi – soprattutto dal Farfa – lungo le sponde del Nazzano sono stati colonizzati da canneti e macchie igrofile boscose e arbustive di salici e pioppi, dando luogo a un ambiente accogliente per molte piccole specie di avifauna, tra cui il falco pellegrino, il nibbio bruno, l’airone cenerino. Il sito è uno dei più interessanti di tutta l’Italia centrale per il birdwatching oltre che per l’osservazione, la scoperta e l’educazione ambientale rivolta agli ecosistemi umidi e paludosi.
Sempre all’interno della Riserva, un tratto del Farfa è caratterizzato da anse e canyon circondati da un fitto bosco di lecci, cerri, carpini, pioppi e salici che qui hanno formato una vera e propria foresta a galleria. Superate le Gole, le acque del torrente si raccolgono nelle cosiddette Piscine di Farfa, uno dei luoghi di balneazione più frequentati di tutta la Sabina.
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Profilo storico-archeologico
Il settore più orientale della Regione Lazio si incunea all’interno dell’Appennino attraversando un territorio originariamente non appartenente a Roma né a popoli di stirpe latina ma abitato dai Sabini. Seguendo la delimitazione dell’Italia realizzata in età augustea, questo settore era parte dell’ampia regione del Samnium che si estendeva dalla costa adriatica all’Appennino centrale e ai Monti Sibillini. Le fonti letterarie antiche ricordano l’area sabina – e in particolare la nota città di Cures Sabini – fin dai primordi di Roma. Basti pensare al leggendario ratto delle donne Sabine e alle figure di Numa Pompilio e Anco Marcio, mitici re di Roma, originari di questo territorio. Oltre all’antica Cures Sabini (S. Maria degli Arci), fra gli insediamenti più antichi si possono citare Reate (Rieti), Trebula Metuesca (Monteleone Sabino) e Vicus Phalacrinae che diede i natali all’imperatore Vespasiano, capostipite della dinastia flavia (69-96 d.C.). Il territorio era attraversato dall’antichissima via Salaria, strada che i Sabini percorrevano per rifornirsi di sale sulla costa tirrenica (Plin., Storia Naturale, 31.89).